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Nuovi traguardi espressivi

 

 


intervista di Agostino Bagnato

Sono tornato a trovare Mikhail Koulakov a Vallicciano dopo circa diciotto mesi. L'occasione allora era data dalla mia necessità di approfondire la conoscenza di questo grande artista che onora la Russia e l'Italia.
Ne è nata una lunga intervista pubblicata sul numero 4/01 della rivista "L'albatros", corredata da numerose foto del pittore nel suo studio e dalla riproduzione di alcune opere dell'ultimo periodo.
Era in preparazione la mostra sull'astrattismo russo al Museo Statale Russo di S. Pietroburgo alla quale Koulakov avrebbe partecipato con quattro grandi tele e intendevo far conoscere ai lettori il punto di vista di una delle personalità più illustri dell'arte e della cultura degli ultimi decenni nella Russia sovietica. Anche se vive in Italia dal 1976 e la critica lo considera un pittore più italiano che russo, Koulakov resta un artista di livello internazionale, una straordinaria figura di intellettuale e di interprete del nostro tempo, la cui formazione intellettuale e artistica è strettamente legata alla Russia sovietica e al clima politico e culturale degli anni Cinquanta e Sessanta.
L'occasione odierna è dettata dalla preparazione della mostra che si terrà a Roma il 22 gennaio 2003 presso la Galleria Giulia, dal suggestivo titolo "Celare il cielo", presentata da Enzo Bilardello che nel passato ha lungamente studiato l'arte del maestro russo.
Lo studio è ordinato come nelle altre occasioni, anche se risente del quotidiano impegno creativo del maestro. Il pavimento dell'antica stalla mezzadrile che ospita lo studio è un incredibile caleidoscopio di colori sgocciolati dai pennelli durante le intense ore di lavoro e si presenta quasi come un tappeto ricamato da luci di differente tonalità e intensità. Alle pareti sono appoggiati grandi dipinti, alcuni dei quali andranno alla mostra romana. Accanto alle installazioni, come le definisce Mikhail Koulakov, ci sono alcuni pacchi confezionati con carta da imballaggio, legati con corde.
La nostra conversazione inizia proprio dall'osservazione di questi oggetti.

Cosa sono questi involucri, Mikhail?
Sono libri, come io li chiamo, che contengono fogli disegnati e dipinti, appunti, annotazioni, schizzi o anche nulla. Mi sono divertito a fare una cosa nuova, quasi una performance. Alcuni pacchi potranno essere aperti, altri no. Dipenderà dalle circostanze.
La tela raffigurante il mito di Prometeo, iniziata lo scorso anno quando sono stato l'ultima volta nello studio, è terminata. Si tratta di un'opera importante per te, mi pare.
Abbiamo già parlato di come nasce il mito di Prometeo nella mitologia greca e come io considero quel mito una forzatura. I greci hanno rielaborato e diffuso il mito della figura che porta il fuoco agli uomini mortali, ma l'archetipo è molto più antico. Prometeo non è stato punito perché ha portato il fuoco agli uomini, ma perché rappresenta la forza primigenia; il fegato corroso quotidianamente dall'aquila mandata da Giove simboleggia la terra. Il colore del fegato umano è marrone chiaro, quasi giallo, infatti. Io rappresento questa forza primigenia attraverso l'acqua e il fuoco che si incontrano e si scontrano contemporaneamente, creando l'energia vitale. In poche parole, in questa creazione di energia che connota ogni esistenza cosmica sta l'essenza autentica di Prometeo. In questo senso non si tratta da un mito appartenente alla cultura arcaica greca, ma all'intera umanità.
Anche l'altra tela che rappresenta la luce attraverso il simbolo di una lucciola che appare nella notte estiva, è ultimata. Si tratta di un'opera di grande suggestione emotiva e di profondo fascino.
Vedi, quest'opera è tra le varie espressioni del mio ultimo periodo creativo. Sulla destra puoi notare che è comparso il profilo di una Madonna. Si tratta di un fatto che non ho previsto. Si è verificato per caso: poche linee bianche sul fondo nero ed ecco che mi sono accorto, osservando attentamente l'insieme dell'opera che avevo raffigurato la Madonna.
In effetti, nelle tue ultime opere si manifestano segni tangibili di figurazione. L'astrattismo puro, nato negli anni Sessanta sull'onda dell'action painting con motivazioni originalissime rispetto agli artisti americani e approdato a risultati di gestualità profondamente elaborata, frutto di lunghe meditazioni e di repentine azioni dipintorie uniche, non è messo in discussione, come tu stesso hai più volte affermato.
È proprio così. Io non rinnego nulla del passato, proseguo sulla mia strada con assoluta coerenza. Mi sono accorto che dal magma della gestualità, negli ultimi tempi, è emersa la figura, senza che io lo volessi o facessi nulla perché accadesse. Questa sarà una delle principali novità della mostra alla Galleria Giulia.
Quante opere saranno presenti in mostra?
La galleria non è molto grande. Ci saranno al massimo trenta opere degli ultimi due anni. Sono state selezionate da Enzo Bilardello che cura anche il catalogo. Per la prima volta saranno esposte alcune installazioni costruite con oggetti di uso quotidiano nella Russia contadina, a cominciare dai lapti, queste scarpe fatte con corteccia di betulla intrecciata e che nel Lazio assomigliano alle ciocie, come vengono chiamate a Frosinone.
Il grande quadro giallo sul fondo richiama con forza la mia curiosità. Posso chiederti cosa rappresenta?.
È la conferma della mia teoria artistica, di cui abbiamo parlato altre volte e che hai riportato nelle precedenti interviste. Avevo progettato lungamente quell'opera. Preparata la tela, messi a punto i materiali e i colori, ho dipinto quello che avevo pensato, frutto di lunga meditazione. Mi sono accorto che non andava bene, che avevo sbagliato qualcosa. Così ho deciso di distruggere il quadro, non di correggerlo. Ho preso a stendere il colore giallo e poi quei segni come simboli. Mi sono fermato quando ho deciso che l'opera era compiuta. Sarei potuto andare avanti, tracciare altri segni alla stessa maniera di quelli precedenti, ma mi sono reso conto che avevo terminato il mio progetto pittorico.
Il mio modo di procedere prevede un forte autocontrollo per cui debbo essere io a decidere quando è giunto il momento di fermarsi. La mano è guidata dall'inconscio, dal sogno, ma il risultato deve essere controllato dalla coscienza, dal proprio essere razionale e pensante. Esiste una parola russa che esprime in sintesi questo concetto: nerukotvornyj, ovvero non dipinta dalla mano dell'uomo. Come a dire che è la mente che guida e decide.

Ma la mostra è anche l'occasione per festeggiare i settant'anni di vita di Mikhail Koulakov, di cui ventisei trascorsi in Italia. Non sarà un consuntivo della tua vita artistica. Ben altra dimensione dovrebbe avere l'esposizione per rappresentare il complesso e straordinario percorso artistico di un maestro della tua statura. Cosa rappresenta per te questo appuntamento romano?
Non mi aspetto nulla in particolare dalla mostra romana; pur tuttavia è l'occasione per testimoniare il mio ritorno alle origini. Ricomincio da dove sono partito. Dalla Russia.
Alcune importanti date celebrative sono l'occasione per parlare in senso più generale della tua vita correlata alla storia della Russia. È vero che tu neghi tale correlazione, ma l'osservatore attento non riesce a rifiutarla. Nel 2003 ricorre il trecentesimo anniversario della fondazione di San Pietroburgo. Mi piacerebbe sapere cosa ha rappresentato per te quella città.
I miei legami sono con l'universo, con tutto ciò che ci circonda e non con un singolo territorio, una nazionale, un popolo. In questo senso rifiuto il legame con la Russia, per come viene tradizionalmente inteso il rapporto con la terra dove si è nati.
Venendo alla tua domanda, chiarisco subito il mio pensiero. La nascita di San Pietroburgo è stata una violenza sulla natura. Pietro il Grande, per ragioni politiche e militari, ha imposto la sua volontà sulla natura, costruendo una nuova città alla foce del fiume Neva, in una zona paludosa e malsana. Ha chiamato architetti, ingegneri e artisti di tutta Europa per realizzare il suo sogno, costato enormi sacrifici al popolo russo. La città è diventata simbolo di modernità in antagonismo a Mosca che rappresenta la tradizione slava e la vera natura russa.
Da queste parole traspare un sentimento contrastante verso la capitale del nord, come venne chiamata già nel Settecento la nuova città. Conoscere il rapporto che hai avuto con Leningrado, come fu chiamata a partire dal 1924 dopo la morte di Vladimir Il'ic Lenin fino al 1991, è importante.
Sono andato a Leningrado quando ho avvertito di essere perseguitato dal Kgb a Mosca, a causa della mia attività artistica. Ero uno dei rappresentanti dell'astrattismo, corrente pittorica che non godeva i favori del regime perché considerata estranea alla cultura del popolo russo.
Eppure, Kandinskij e Malevic, che sono i padri dell'astrattismo, erano russi…
Hai ragione. Ma il regime sovietico, con l'affermarsi delle teorie artistiche legate al realismo socialista, ha cancellato ogni traccia delle avanguardie russe che hanno contribuito a fare la storia dell'arte del Novecento.
Avevo tenuto qualche mostra negli appartamenti, come facevano del resto altri artisti considerati eretici, proprio perché le gallerie pubbliche erano precluse. Ciò non era passato inosservato alla polizia.

Ricordo che negli anni Sessanta e Settanta, l'esposizione di quadri e lo svolgimento di performance negli appartamenti privati, si è configurata come una vera e propria scuola, che la critica ha definito Apartament art, arte nell'appartamento.
Non potevo continuare a lavorare in assenza di libertà. L'esecuzione di ogni mio quadro era un evento, legato alla gestualità, per cui mi sentivo condizionato. Così ho accettato l'invito che mi ha fatto il direttore del Teatro della satira di andare a Leningrado.
Qual era la vita artistica nella città? Chi hai conosciuto nella Leningrado considerata vicina all'occidente e per certi aspetti guardata con sospetto dalle autorità di Mosca?
Ho conosciuto molti artisti e intellettuali. Anche Josip Brodskij, il poeta dissidente insignito del premio Nobel per la letteratura. Era un uomo difficile, aveva la sua cerchia di amici e di ammiratori e non era facile entrare nel suo giro.
E il rapporto con il cinema? Erano gli anni di creazioni importanti della cinematografia sovietica.
Il mio rapporto con il cinema è stato sempre positivo. Non dimenticare che sono diplomato in scenografia teatrale. Ho conosciuto Andrej Tarkovskij giovanissimo. Il suo film Detstvo Ivana, L'infanzia di Ivan, che ha vinto il Leon d'oro del Festival cinematografico di Venezia nel 1963, è un capolavoro assoluto. Anche gli altri film sono importanti, da Solaris a Nostalgija, quest'ultimo girato in Italia. Anche Tarkovskij, che veniva da una famiglia di intellettuali, il padre era un celebre poeta, era una persona difficile e soprattutto poco generosa. Non aiutava nessuno fuori dal suo gruppo ristretto di amici e collaboratori.
A questo punto mi piacerebbe sapere qual è il tuo rapporto con la musica.
La musica non è stata mai la mia principale attività. Io dovevo fare il diplomatico, come ben sai. Ho frequentato a Mosca l'Istituto delle relazioni internazionali del Ministero degli esteri. Poi ha prevalso la pittura. Della musica, m'interessava in particolare Aleksandr Skrjabin. "Poema dell'estasi" e soprattutto "Poema del fuoco o Prometeo" sono opere che sento molto vicine al mio mondo spirituale. Oggi la musica mi distrae, mi allontana dalla meditazione, mi sottrae concentrazione. Ricordo che Maksim Gor'kij, parlando di Lenin, raccontava che il fondatore del bolscevismo, amava la sonata per pianoforte "Appassionata", di Ludwig van Beethoven, ma considerava la musica un pericoloso diversivo dei compiti e dei doveri rivoluzionari. La musica commuove, conquista, trasporta nel sogno e quindi distrae dall'impegno quotidiano.
Nella tua casa la televisione resta accesa quel tanto che basta per ascoltare i principali notiziari. Tutto ciò che è spettacolo e intrattenimento appare superfluo e quindi inutile, mi pare di capire.
È così. La meditazione, finalizzata alla creazione artistica, viene interrotta inesorabilmente da tutto ciò che non ti appartiene in via diretta. Per questo motivo non ascolto più musica.
Il passo alla poesia è obbligato a questo punto. Come si può rinunciare all'occasione di parlare con un grande artista russo della poesia che nella cultura di quel paese rappresenta qualcosa di molto più impegnativo rispetto ad altri popoli.
Abbiamo parlato altre volte di Evgenij Evtusenko. Le sue liriche del periodo giovanile sono molto belle. Quelle che ha composto successivamente risentono del suo compromesso con il regime. Lo stesso ragionamento vale per Voznesenskij. Il talento di questi due artisti è fuori discussione. Ma ci sono poeti altrettanto importanti, come Gleb Gorbovskij e Viktor Sosnora, che non sono molto conosciuti in Occidente.

Per quale motivo?
Evtusenko e Voznesenskij dodevano di una posizione privilegiata, insieme a Tarkovskij, grazie alle simpatie di Suslov. Di conseguenza, potevano esprimersi con una certa libertà. Il regime comunista aveva bisogno di dimostrare all'Occidente che all'interno dell'Unione sovietica c'era libertà di creazione artistica e potevano anche viaggiare all'estero. Suslov, l'ideologo del Pcus, proteggeva questi intelligenty, ma non lo faceva con altri. Per questo era difficile a molti autentici artisti di manifestare il proprio talento creativo. Per la Russia è stata una grande perdita.
Quando Suslov è morto, l' attenzione per quelle poche personalità citate è cessata, sono prevalse logiche ottuse che hanno aggravato ulteriormente la situazione. Così Tarkovskij è stato costretto a emigrare in Svezia. Evtusenko e Voznesenskij hanno continuato a lavorare in Russia, acconciandosi al nuovo clima. La loro creatività ne ha risentito.

Quali artisti occidentali hai conosciuto in Russia? Sei un artista affermato in patria, in Italia e in altri paesi. Il tuo punto di vista sugli artisti occidentali è molto importante.
Non ho incontrato molti stranieri in Russia, anche perché erano pochi coloro che la visitavano. Ho conosciuto Renato Guttuso che veniva frequentemente a Mosca. L'ho incontrato di nuovo in Italia quando accompagnava le delegazioni dei pittori sovietici mandate dall'Unione degli artisti a visitare l'Italia. Quando gli ho detto che mi consideravo vicino i dissidenti sovietici, anche se ero venuto in Italia perché avevo sposato Marianna, una donna italiana di madre russa, i nostri rapporti sono diventati molto più freddi.
La nostra conversazione si avvia al termine. Ma non posso lasciare lo studio senza chiederti cosa pensi delle attuali tendenze nell'arte contemporanea.
L'arte prevalente oggi è quella immateriale. Video-art e Net-art sono frutto dell'evoluzione tecnologica, fenomeno legato al tempo in cui viviamo. Domani saranno sopravanzate da altre forme di linguaggio artistico.
Ma c'è un modo per opporsi all'invasione dell'arte immateriale?
Non ne vedo la ragione profonda. Ogni tempo ha il suo modo prevalente di esprimersi, di essere rappresentato.
Ma ci sarà pure un modo per uscire dal coro, per non essere costretti all'omologazione?
Penso che la comunicazione tra gruppi di persone sia una forma artistica di grande interesse. Certo, si tratta di gruppi ristretti che entrano in relazione tra di loro, ma sono la base di quelle comunità che dovrebbero caratterizzare l'ordine terrestre. Ricordi quando parlavamo di Velemir Chlebnikov e della sua concezione dell'esistenza: l'uomo deve essere creatore di cose nobili. In questo senso concepisco l'arte del futuro. Anche se mi considero appartenente al passato per ovvii motivi di età, ritengo che l'arte debba essere fondata sul comune pensiero di gruppi di individui in contatto tra di loro.
Non c'è il rischio che questo modo di procedere possa portare a forme elitarie di arte e quindi isolate, poco fruibili da parte del grande pubblico, per non parlare del mercato.
Può darsi. Ma c'è sempre un prezzo da pagare per distinguersi e sfuggire alla mediocrità. Il resto non m'interessa. Io ho raggiunto un equilibrio interiore che voglio mantenere a ogni costo. Sto bene con me stesso. Questo conta più di ogni cosa.
Un'ultima domanda, prima di salutarci fraternamente. Tornerai in Russia nel prossimo futuro?
La mia concezione zen mi porta a essere cittadino in ogni angolo del mondo. Ripeto quello che ho detto prima: il mio rapporto è con l'universo e non con una sola entità. Per questi motivi non ho interesse a tornare in Russia. Non l'ho fatto per la mostra sull'astrattismo all'inizio del 2001; non lo farò per altre ragioni. Sto bene nella campagna umbra. Questa è la mia terra, attualmente.

Vallicciano, 16 dicembre 2002