testo di Enrico Crispolti
Esponente significativo già fra gli ultimi anni Cinquanta e lungo i Sessanta e oltre di quella nuova situazione di articolata e plurivoca ricerca che nella sua non-ufficialità, durata fino almeno a tutti gli anni Ottanta, ha comunque costituito una ulteriore stagione dell’arte russa, rappresentandone l’esistenza nella seconda metà del XX secolo, non v’è dubbio che nel lavoro di Mikhail Koulakov ricorra insistentemente un esercizio gestuale del tutto risolutivo della configurazione propositiva dell’immagine che qualifica le sue manifestazioni pittoriche. Immagine che risulta infatti, nel suo repertorio, sostanzialmente d’impianto segnico-gestuale.
In anni remoti è stato possibile riconnettere storicamente quel suo gestualismo a una matrice “informale”, facendone cioè un esponente autorizzato di svolgimenti “informali” in area russa. E in anni passati ma più recenti è stato possibile porsi l’interrogativo (io stesso del resto lo ho fatto) se quei suoi perduranti modi d’esercizio segnico-gestuale andassero confrontati con ipotesi di “neo-informale”, o altrimenti con la realtà d’una ormai avvenuta assunzione categoriale, cioè metatemporale, di una fenomenologia di modi “informali” in termini di rispondenza tipologica di ormai acquisite possibilità di linguaggio, al di là dunque d’ogni possibile nesso storico con l’Informale storico.
A distanza il lavoro che è venuto sviluppando Koulakov in questi ultimi anni, nel suo “buen retiro” umbro, credo possa sempre più convincere relativamente a quest’ultima ipotesi. Vale a dire che il praticare una gestualità segnica vada sempre più ragionevolmente riconosciuto come una modalità operativo-espressiva consustanziale alla sua immaginazione, qualificandosi dunque non diversamente dalla modalità, perciò reiteratamente frequentata, di una condizione basica di vitalismo.
In signo veritas insomma, o qualcosa del genere. Verità esistenziale propria, tuttavia di fatto trascesa. Riconoscibilità di sé in una connessione psichica profonda con la totalità del reale. Un contatto, un sondaggio profondamente introspettivo che si afferma soggettivamente proprio nel momento in cui si realizza in termini d’oggettività nella pratica gestuale segnica.
Per Koulakov l’esercizio segnico-gestuale, e dunque la fenomenologia d’eventi formali che ne consegue, è una sorta di rassicurazione d‘un contatto vitale che in tanto continuamente si ritenta in quanto l’esigenza della sua realizzazione risulta un termine vitale. E che poi l’esercizio segnico-gestuale si configuri in modi di reiterato attivismo comprova che il contatto con una sorgente vitale deve e può soltanto compiersi proprio secondo una ritualità attivistico-energetica.
L‘esito segnico-gestuale costituisce infatti l’evento circoscritto d’una trama infinita che si costruisce in proposizioni sempre nuove, giacché il parametro sotteso è relativo non ad una condizione di circoscritti eventi espressivi differenziati (come si darebbe in una casistica di tipo esistenziale, wolsiana, per esempio), ma al contrario proprio ad una sorta di continuità di contatto, di iterazione, di collana di ritualità di atti, quindi di gesti e di segni. Non sarà difficile a questo punto riconoscere una profonda componente “orientale” nell’immaginario di Koulakov, espressa esattamente nella ritualità iterativa vitale del gesto-segno. E si potrebbe dire che se nell’ambito dell’avanguardia “storica” russa, a livello sopratutto di formazione, il riferimento alla tradizione iconica bizantina (da Tatlin a Rodcenko, allo stesso Malevic) monopolizzava la riconoscibilità d’una componente appunto orientale, nel caso di Koulakov un tale ruolo viene invece assunto dall’universo di gestualità segnica della più libera scrittura estremorientale (giapponese).
Certamente, insomma, questa capacità vitalisticamente inverante dell’iterato evento segnico-gestuale costituisce per Koulakov una sorta di normalità precaria del consistere spirituale, in quanto appunto necessità d’un contatto sempre necessariamente da rinnovare una volta che si sia realizzato. L‘esercizio è continuo se il pneuma deve essere continuamente alimentato d’ulteriore carica d’energia vitale.
Questo credo sia l’effettivo modo per praticare ad infinitum, da parte di Koulakov, l’agio esaltante del gesto che segna, che determina segnicamente, che segnicamente invera. E invera una vivibilità esistenzialmente fondata e tuttavia librata in una prospettiva di spiritualità metatemporale, in fondo estatica proprio altrettanto che attivistica è la condizione di contatto che la realizza. L‘esercizio del segno per Koulakov è come una preghiera, è la certificazione d’un contatto spiritualisticamente qualificabile, d’una trascendenza possibilmente attuabile entro la condizione dell’esserci esistenziale. Un modo per valicarla e obliterarla in altro di sé e da sé.
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