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Uno sguardo appassionato
e raggelato

 

 


testo di Fedora Franzè

Dalla nostalgia di un'infanzia rivissuta nel colore della terra, negli intrecci di corteccia di betulla con cui i contadini russi camminavano sulla neve, alla notturna esplosione di colori delle grandi tele, il percorso proposto mostra modalità espressive che inizialmente a fatica si riesce ad inscrivere nel medesimo orizzonte.
Alcune serie: L’infanzia di Misha, Bandiere sul Tibet, - austere, rigorose, centrate sulla qualità artigianale dei materiali (carte nepalesi e tibetane in vari toni di ocra) - Libri.
Come stracci issati e agitati dal vento, vessilli di una presenza certificata, le bandiere di carta si fanno richiamo a un dio distante ma in ascolto; si accartocciano e si sfilacciano, sfibrate da una resistenza di lunga durata, dall’insistenza con cui proclamano che qualcuno intende continuare ad esistere, strenuamente.
Si tratta di una forma ancora indistinta, che convive e si oppone alle forme della razionalità, geometriche: porzioni di cerchio e rette in un dialogo tra elemento naturale, spontaneo, terroso, sedimentato, rilevato, materico e astrazione intellettuale, segno a inchiostro di china che coglie gli elementi comuni e formula codici, linguaggio.
Nella relazione dialettica quello che ancora non è che impulso e quello che è già concetto si scrutano, si accompagnano o piuttosto si specchiano: non solo e non tanto in quanto coesistenza di due tempi diversi della vita di un fenomeno (non diacronia risolta in sincronia), quanto agnizione, riconoscimento della altrui dignità, pari valore nella libertà di entrambi di interrompere il processo di trasformazione oppure di regredire o avanzare, usando il tempo per modificare lo spazio interno e quello intorno.
Nei libri chiusi con corde - ancora un materiale naturale, qui a costituire il vincolo - l’artista cela un lavoro “fermentato”, cartoni abbozzati dove l’idea è depositata e lasciata a macerare, ripresi in seguito e modificati attraverso un rivestimento in fitta rete metallica che ne vela la superficie.
A volte ulteriormente agiti per sovrapposizione di pennellate cariche di colore, per lo più circolari, spiraliformi e, per contrappunto, tirate in assoluta orizzontalità.
Ne risulta una stratificazione organica, un’alternanza di eventi-gesti e stati d’animo, condizioni psichiche che esaltano o attutiscono e su cui ancora avvengono cose.
Una vita in azione su cui è calato il sipario protettivo di un involucro sigillato; difendere dall’appello della propria verità chi forse non saprebbe rispondere, difendere se stessi dal destino di Prometeo.
Il Prometeo della tela di Koulakov è memoria di quella forma di conoscenza, corpo e spirito in un unico sofio vitale, che come una palla di fuoco, spirale incandescente così frequente nei suoi lavori, respiro, velocità e sospensione, tende un filo tra le due assi divaricandole, misurando la simmetria nella corsa. Nell'ombra gigantesca e monolitica, statica delle quinte laterali, la partenza e il traguardo, la sosta dell’onda e il suo vuoto da scuotere.
Nelle piccole opere di carta disposte su supporti in legno che ne sottolineano la fragilità nel porgerle, un richiamo alla sacralità della calligrafia, tracce di spessori, impronte digitali nelle increspature lievi solcate da fili d'inchiostro e gocce.
Ricordo decantato e tessuto, lavorato con pazienza e lentezza, del dripping pollockiano, grande ispiratore sin dal momento in cui l’arte europea era accessibile solo clandestinamente, attraverso le informazioni scambiate nelle sale della Biblioteca Lenin sulla possibilità di reperire riviste con illustrazioni recenti.
Dalla rielaborazione di allora alla sintesi successiva il cammino è stato articolato, ricco di cambiamenti, di nuovi stimoli, di percorsi spirituali che hanno avvicinato l’artista alle arti marziali delle quali è divenuto maestro, lo hanno portato ad assumere un’attitudine meditativa sempre più spiccata che gli dona uno sguardo parimenti appassionato e raggelato.
Uno sguardo con cui segue la propria mano tracciare le linee di progetti rigorosi, lontani ormai dalla danza catartica del colore che sgocciola, definiti nella mente eppure aperti alle esigenze di deviazione dell’atto creativo.